I COLORI DEL WASHING

In un mondo a velocità costante, anche il marketing si deve adattare a questi tempi.
Quando si inizia a fare pubblicità sono tante le strategie perseguibili, ma non tutte sono valide. Infatti, non bisogna tenere in considerazione solo l’identità aziendale, la nicchia di mercato e il target di riferimento, ma anche quelli che sono i valori che si vogliono trasmettere. Abbracciare delle cause che si sentono come proprie è una cosa giusta, ma perché alcune aziende decidono di sfruttare la popolarità di alcuni temi e si “travestono” da promotori di cause sociali?

Per spiegarne il motivo bisogna parlare del “washing”, una tecnica che include la promozione di un prodotto, ma anche di un’azienda, con un comportamento di finta apertura nei confronti di alcuni temi sociali sensibili, come l’emancipazione femminile, il razzismo, la comunità LGBT+ o la sostenibilità. Proprio per questo motivo, l’espressione “washing” può essere accompagnata da diversi colori come “pink”, “black”, “green” o “rainbow”, ma lo scopo resta lo stesso.


Le aziende che applicano questa tecnica arrivano anche a tingere i loro packaging di vari colori, a seconda della causa da sostenere, assumendo un atteggiamento apparentemente solidale.

Come nel caso di Barilla, brand italiano più conosciuto a livello internazionale, che nel 2013 affermò di non voler associare la propria pubblicità a figure omossessuali in quanto preferivano la figura della famiglia tradizionale, dichiarando che se i gay non fossero stati d’accordo avrebbero potuto acquistare la pasta di un’altra marca. Questo creò polemiche sui social e proteste da parte di associazioni gay friendly e, eccezionalmente, dopo qualche anno Barilla cambiò idea. Infatti a giugno, mese del Pride, ha fatto comparire sugli scaffali confezioni di pasta color arcobaleno, maglie con simboli arcobaleno e campagne che sembrano portare avanti un messaggio alla comunità LGBT+.

Molto importante è stato anche il caso di KFC, l’azienda produttrice di fast food incentrata sulla vendita di prodotti a base di pollo, la quale produsse dei “secchielli” rosa dichiarando di voler donare 50 centesimi per ogni secchiello, in collaborazione con Komen, una delle più grandi associazioni di volontariato per la lotta contro il cancro al seno. Alla fine della campagna furono raccolti oltre 4 milioni di dollari da evolvere in beneficenza. L’iniziativa di KFC, però, oltre ad innescare nei clienti una “gara di solidarietà”, aumentò sempre di più i suoi incassi. Per questo motivo ci furono molte critiche verso l’associazione Komen, perché fu accusata di allearsi con uno dei promotori mondiali di abitudini alimentari non salutari e dannose per la salute.

Tutto questo rappresenta l’incoerenza delle azioni fatte esclusivamente a scopo di trarne vantaggio.

Questa strategia porta sia a conseguenze positive che negative: le prime sono che i prodotti vengono acquistati perché ritenuti etici, le persone si mostrano aperte all’acquisto perché la loro reputazione migliora e aumenta il numero di clienti; mentre le seconde sono che quando le aziende sono accusate di sfruttare temi cari all’opinione pubblica perdono di credibilità, tanto è vero che alcune iniziative – come l’esempio riportato di KFC – si possono ritorcere contro i brand e il rischio maggiore è quello di andare incontro ad un sabotaggio da parte dei consumatori.

Viviamo in un mondo che vuole mostrarsi inclusivo nei confronti delle minoranze e sui brand viene esercitata, anche se in modo implicito, la pressione dell’opinione pubblica.

È possibile affermare che la tecnica del “washing” in generale, faccia riferimento a quello che viene definito marcatore somatico, utilizzato dall’azienda per attirare i clienti attraverso la sensibilizzazione di determinate tematiche sociali che suscitano negli individui delle emozioni e delle reazioni nonché una manipolazione sottile, inducendoli quindi ad acquistare.

Gli individui, presi da tanti stimoli, non sanno quale scelta compiere ed è per questo che si lasciano andare ai loro impulsi, assecondando anche il bisogno di far parte di un gruppo; alcuni di essi pensano che non scegliendo siano liberi dal “sistema”, ma in realtà anche non scegliere è una scelta. Si può sfuggire a tutto questo se si è disposti a conoscere e ad approfondire davvero ciò che ci circonda, andando oltre le cose così come appaiono.

Martina Restivo

Per #TiPiSocial


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