NAMING: IN POCHE PAROLE
Il naming è quel processo che dà il via all’identità di brand e questo vale sia per le marche che per noi, infatti quando nasciamo ci viene dato un nome che potrebbe essere di famiglia, inventato, ispirato ad una persona cara o ad un amico. Sceglierne uno potrebbe sembrare una semplice azione, ma non è così e uno dei motivi è perché esistono circa 300 Milioni di aziende e, di conseguenza, di nomi diversi.
Riuscire ad emergere in questo vasto scenario è realmente difficile e, poiché accompagnerà la marca per “tutta la vita” deve essere originale, memorabile, efficace anche all’estero e legale. In poche parole, deve consentire al brand di occupare uno spazio nella mente del consumatore e rimanerci il più a lungo possibile come la soluzione ad un suo bisogno irrisolto.
Dare un nome ad una azienda significa darle un timbro ed esistono diverse categorie di naming.
- Brand Eponimi: prendono il nome dal loro fondatore.
Ad esempio Walt Disney che ha sia il nome che il cognome del suo fondatore ed ha come logo la firma di quest’ultimo; Giorgio Armani; Ferrari; Barilla; Garofalo e così via.
Ci sono delle categorie, in particolare food e moda, in cui viene imposto questo tipo di nome come se fosse una sorta di garanzia. Vengono scelti principalmente per ego, pigrizia e trasmissione di valori.
- Brand Acronimi: le sigle.
Quando bisogna esprimere molti dati sul brand è utile racchiudere il tutto in un acronimo come FIAT (Fabbrica Italiana Automobili Torino); NASA (National Aeronautics and Space Administration) oppure il caso particolare di IKEA che al suo interno contiene le iniziali del fondatore Ingvar Kamprad, della fattoria dove è cresciuto Elmtaryd e del vicino villaggio di Agunnaryd.
Indubbiamente sono nomi meno interessanti però al tempo stesso, molto utili.
- Brand Descrittivi o Didascalici: descrivono pedissequamente quello che succede, quindi non evoca niente, descrive solo.
Come il caso di Poste Italiane; Trenitalia; Just Eat; British Airways e così via.
- Brand Suggestivi, che possiamo dividere in tre ulteriori categorie:
- Suggestivi Reali, UBER cioè semplice app che consente il servizio di taxi verso i privati e questa parola in tedesco significa "Iper", quindi è una parola reale utilizzata in maniera suggestiva;
- Suggestivi Irreali, in questa categoria rientrano brand il cui nome è la fusione di due concetti differenti che associati creano un nuovo concetto come PlayStation, Ray Ban, Facebook, Red Bull e tanti altri;
- Suggestivi Estesi/Estensivi, si prende una parola reale e si altera ad esempio Kleenex che deriva dalla parola “to clean”; Deliveroo che lascia intendere che ci sia il “delivery” nonché il rilasciare a casa di qualcuno un oggetto; Twix che sono due barrette gemelle ossia “Twins”; Swiffer; Nespresso, Intimissimi e così via.
- Brand Associativi, prendono un concetto che non ha nulla a che fare con ciò che fa l’azienda, ma che è possibile associare.
Come ad esempio Nike, parola greca che significa Vittoria e quindi non è legata ad articoli sportivi. La maggior parte del mondo non conosce il significato di questa parola ed è un concetto che esiste da prima, astratto e irreale. Si definisce associativo perché indossando il prodotto si associa ad esso il concetto di vittoria stesso; Puma, felino velocissimo che non c’entra nulla con lo sport, ma lega il concetto al prodotto; Jaguar, nome di un felino veloce e scattante, quando associamo questo nome alle auto leghiamo a queste anche le caratteristiche del Giaguaro; Amazon; Apple e tanti altri.
- Brand Inventati, che non significano nulla.
Ad esempio, Rolex, Adidas, Kodak, Google sono nomi a cui riusciamo a legare un’identità solo perché sono stati utilizzati, ma in caso contrario la parola non esisterebbe.
Martina Restivo
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